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Ritrovare la mia gravità

La prima la volta che capivo nel “mio essere corpo“ che cosa volesse dire, uno stato che soltanto poche volte in scena avevo (ri)sentito realmente.

«Être au-delà du corp » («Essere al di là del corpo») Dominique Dupuy

Ho fatto le 10 sedute nel 2006, quindi posso parlarne facendo uso della memoria, della memoria corporale, e anche dei miei appunti scritti dopo ogni seduta.

È proprio dai i miei appunti che viene questa citazione di Dominique Dupuy: spesso scrivevo le mie impressioni delle sedute con citazioni che rivenivano alla mente.

Rileggendola, credo di averla scritta perché era la prima la volta che capivo nel “mio essere corpo“ che cosa volesse dire, uno stato che soltanto poche volte in scena avevo (ri)sentito realmente. Uno stato dove la nozione stessa di corpo può sparire, dove “avere un corpo“ non vuol più dire niente, ma “essere un corpo“ prende senso (il filosofo francese Michel Bernard parla appunto di “corporéité“, corporeità, per uscire giustamente dall’impasse dove ci porta la parola corpo).

Questo “stato di grazia“ che ci è dato dalla gravità, descritto cosi bene da Kleist (anche se la sua conclusione è piuttosto pessimista…) nella novella «Sur le théâtre de marionnettes». Questo era il mio stato quando uscivo da una seduta di Rolfing, uno stato di “émoi“ (la parola che trovo più giusta in italiano è afflato).

Una delle cose che mi ha colpito durante il processo è che la mia postura era diversa, cambiata fisicamente e psicologicamente. Non era il cambiamento fisico che mi ha “scombussolato”, ma ciò che ha prodotto nella mia relazione con il mondo e con gli altri, ma soprattutto con me stessa.

Tutto questo mostra che il «Corps, par les seuls lois de sa nature, a le pouvoir d’accomplir de nombreuses actions qui étonnent son propre Esprit». (il Corpo, grazie alle sole leggi della sua natura, ha il potere di riuscire in numerose azioni che sorprendono il suo Spirito). L’affermazione della mia identità singolare, intesa come propria al mio essere.

Il cambiamento fisico non mi aveva stupito, come danzatrice sono abituata al cambiamento, non mi spaventa, anzi ci entro con facilità, quasi con una dimensione infantile.

Credo che il caso mi abbia portato alla prima seduta, ma credo anche che era un processo già in corso. Avevo bisogno di (ri)trovarmi nel mio danzare, che si era “addormentato“ dopo la gravidanza: il mio corpo era cambiato e non riuscivo più a trovare una relazione con lo spazio, una connessione appropriata tra la mia immaginazione e la mia organizzazione gravitaria.

Mi ritorna in mente una citazione di Steve Paxton – «attenzione a ciò che metti nel corpo , perché ciò che ci metti , mai ne uscirà»: infatti ricercavo, con il corpo e con la sua ‘‘envelope‘‘ cambiata, degli automatismi acquisiti nel passato nella mia maniera di muovermi.

Dovevo ritrovare la mia gravità, la terra e il cielo, ritrovare una recettività al peso, la nozione di muoversi con il peso. E così è stato.

Tutte le sedute non mi hanno parlato nello stesso modo: qualcuna è stata semplicemente la continuità di un processo che si era avviato, altre invece sono state davvero sorprendenti.

Attraverso il tocco ho potuto relazionare delle cose, dei movimenti a degli stati emotivi.

Sono state soprattutto le prime cinque sedute che mi hanno più colpito. Il tocco da parte della mia Rolfer mi ha permesso di entrare in relazione all’altro.

È nelle prime sedute che sono entrata in relazione con lo spazio, lavorando molto sull’asse, la colonna e l’elasticità della cassa toracica e dei cingoli superiori. Tutti i miei infortuni in danza, e non solo, sono avvenuti sulla parte destra.

Lavorando sul tessuto, Claudia Righini mi ha permesso di aprire la parte destra del mio corpo, che non era in relazione con l’ambiente, bloccata da uno stato emotivo. Un respiro inteso come capacità di liberare le potenzialità del movimento.

Rileggendo le mie note dellla terza seduta, ho scritto la parola “passo” e “tracce”. La relazione a ciò che c’è dietro e ciò che c’è davanti. Il passo che lascia una traccia ma che va avanti. Per andare avanti devo ricordarmi che lascio una scia dietro di me. Le mie origini per permettermi di avanzare e darmi la libertà di muovermi.

È verso la metà delle sedute che ho provato la felicità di sentire lo psoas. Averlo risentito una volta, e quindi si è inscritta in me questa percezione (intesa qui come rilettura del pensiero di Merleau-Ponty sul funzionamento chiasmatico della sensorialità), mi ha permesso in seguito ricercarla nel movimento della marcia e nel movimento danzato.

Le 10 sedute di Rolfing mi hanno dato la possibilità di trovare il polo alto, il cielo.

Infatti il polo basso l’avevo già sperimentato nel passato grazie alla ricerca con Dominique Dupuy e il suo lavoro sugli appoggi e sul «repousser» (“rispingere“) dato dalle macchine del metodo Pilates (Reformer), la scuola di Jérome Andrews, e citando Hubert Godard «la machine est une façon pratique d’inventer l’espace» («la macchina è una maniera pratica di inventare lo spazio»).

Ma non avevo ancora trovato l’altra direzione, la direzione opposta, dove fra le due il corpo si costruisce. Ho potuto finalmente sentire questa dualità e questo equilibrio. Adesso sono quasi in una fase dove è talmente piacevole l’alto che ogni tanto dimentico il basso!

Per concludere vorrei scrivere citando una descrizione su Steve Paxton: « Scuoteva veramente il corpo, lo scuoteva letteralmente, come se volesse spolverarlo, per rimettere tutte le particelle in movimento, per fare muovere le cellule fra di loro, disfare le pieghe, le abitudini, le connessioni nervose, i cammini del movimento conosciuti».



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